Beni pubblici. Cittadini, non clienti.
di Riccardo Petrella
Oggi la grande sfida politica è di natura ideo-logica. Si gioca al livello delle idee, degli immaginari, delle narrazioni. L’esempio più significativo di ciò, in Italia, è il preteso primato del “fare”.Un’agenda di sinistra deve mirare alla riappropriazione della capacità di “dire il senso delle parole” che costituisce il vero potere politico. Per questo, il punto di partenza deve essere quello di ri-inventare il senso della società (del “vivere insieme”) per superare lo spappolamento della società realizzato negli ultimi trenta anni.Lo spappolamento è stato possibile, tra altre cause, a seguito della cancellazione dai nostri sistemi di valore e pratiche collettive dell’esistenza dei beni comuni pubblici. La terra/alimentazione, l’acqua, l’aria, le foreste, la salute, la conoscenza, la sicurezza... non sono più considerati come dei beni fondamentali facenti parte del patrimonio comune e della ricchezza collettiva, oggetto di cura comune nel quadro di responsabilità condivise. Malgrado la loro essenzialità ed insostituibilità per la vita e per il vivere insieme, il senso che è stato loro dato, ed accettato dalla stragrande maggioranza dei cittadini, è quello di beni di interesse economico privato, di utilità individuale, il cui “consumo” è vissuto come l’indicatore della ricchezza (e felicità) personale. Ha vinto, per il momento, il senso della vita merce. Sarà molto difficile, ma un’agenda di sinistra deve cominciare con la lotta contro la mercificazione e per l’affermazione della sacralità della vita, dell’acqua, della terra, della conoscenza, delle foreste… Concretamente cio’ significa affermare il valore prioritario dei beni comuni in quanto elementi fondamentali della ricchezza di una società. Un asilo infantile, un’ospedale, un acquedotto rappresentano la ricchezza comune e per questo i loro costi devono essere assunti dalla finanza pubblica (il “Tesoro pubblico”) per mezzo della fiscalità generale. Un’agenda di sinistra deve battersi per la definizione e l’adozione di nuove regole ed istituzioni che consentano la disponibilità, l’accesso e l’uso pubblici, responsabili e sostenibili dei beni comuni, liberandoli dalla schiavitù del potere d’acquisto. E’ inaccettabile che il diritto all’acqua, alla terra, alla salute, all’aria, alla libertà, alla conoscenza... sia condizionato dal potere di acquisto. Il potere di cittadinanza (i cittadini) è superiore e totalmente diverso dal potere di acquisto (i consumatori). Non si è cittadini quando si è consumatori.Mercificando la vita, le nostre società hanno spinto ulteriormente in profondità la mercificazione del lavoro dissociandolo sempre di più dalla ricchezza sociale. Nel mentre il patto sociale che dette origine allo stato del welfare mantenne il senso del lavoro come fondamento della “res publica” e dell’ingegneria istituzionale e finanziaria della sicurezza collettiva, l’attuale mercificazione della vita e del lavoro ha ristabilito il concetto di proprietà privata del lavoro da parte del capitale. Il lavoratore, anche immateriale ed ad alta competenza tecno-scientifica, è merce, risorsa, che ha “diritto ad esistere” nella misura in cui contribuisce alla creazione di valore per il capitale proprietario. Un’agenda di sinistra non deve farsi sviare dal fatto che non c’é più, nei paesi occidentali, l’operaio od il contadino degli anni ’50 e ’60 (dell’era della produzione di massa e fordista). Il lavoro c’è sempre ed occorre battersi per affermare il primato del lavoro umano come soggetto centrale della creazione e dell’organizzazione dei beni comuni pubblici. La sinistra deve ridire con forza che l’insegnante delle elementari è più creatore di riccheeza comune di un agente di cambio o di un banchiere “nazionale” che si arricchisce avendo comprato il capitale di un’impresa multinazionale di prodotti di lusso. Per questo, il lavoro di un insegnante “vale” di più e, per la sinistra, la ricchezza di una società deve essere destinata maggiornente a valorizzare l’insegnante e meno il “mercante di dollari”. Lo stesso si applica al produttore di un’agricoltura sana, a distanza breve, per l’alimentazione delle popolazioni locali anziché di un’agricoltura ad alta intensità tecno-chimica mirata unicamente alla produzione di alimenti per l’esportazione ed i mercati di consumo dei gruppi sociali ricchi che, peraltro, gettano più di un terzo degli alimenti comprati senza nemmeno “consumarli”.Infine, un’agenda di sinistra deve essere centrata sulla ridefinizione dello Stato e della democrazia rappresentativa nel senso di una nuova architettura del potere politico - fino al livello mondiale - e della concretizzazione di una democrazia espressa dai cittadini a partire ed attorno al governo “nella città “ dei beni comuni pubblici. In effetti, la mercificazione dei beni comuni ha condotto alla privatizzazione del potere politico, sostituendo il concetto di Stato e di governo con quello di “governance”. Secondo il senso imposto dai privatizzatori del vivere insieme, lo Stato, lungi dal rappresentare la forma politica organizzata della società, è visto solo come un “portatore di interessi” (stakeholder), alla stessa stregua delle imprese, dei sindacati, delle Ong, delle Chiese... . Dal canto loro, le collettività territoriali, avendo svenduto i propri beni, sono diventate portatori di interessi finanziari “pubblici” che altro non sono che contentini loro offerti dai proprietari reali delle imprese gestionarie degli “ex- beni comuni”. Il loro senso si è invischiato nella palude del “nuovo”capitalismo territoriale urbano “multiutilities”. E’ urgente che, all’era in cui il “senso della storia” va verso la ricerca di un nuovo “patto (sociale?) mondiale”, la sinistra si appropri del senso dello Stato e di governo i cui principi fondamentali - sovranità e sicurezza - devono oramai essere concepiti e concretizzati a livello del mondo, del cosmo planetario (da qui la sfida mondiale del governo della vita, dell’acqua, dell’energia, del clima... nella giustizia per l’Umanità ). E, paritempo, ridisegnare la città, liberandola dalla disgregazione, dal dissesto e dalla violenza attuali. La (ri)generazione della città del XXI secolo passa attraverso nuove forme, diffuse, di reti di partecipazione dei cittadini alle decisioni attorno alla rinascita ed al governo dei beni comuni pubblici, del ben vivere insieme.